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Ines Daniela Bertolino

        L’artista del Silenzio s’inebria del sogno, ed allora lo spettatore che guarda un’opera fatta e costituita da linguaggi di silenziosi spazi, s’accosterà a quest’arte del racconto pittorico come a un paesaggio proprio, a un paesaggio interiore, a un paesaggio di contemplazione.
       Si pensi al cielo, a un cielo senza nuvole, a un cielo senza tempo, ove il silenzio non è mai vuoto, ma è soggetto a sé, anzi è insostituibile “voce” recitante. Nell’arte della pittura tutto ciò può assurgere a parabola pittorica, a parabola pittorica dello spazio, del tempo e della vita. 
       Per Keats, tra i migliori cantori del Silenzio, con Leopardi e Rilke, il Silenzio è luogo di nutrimento spirituale. E spesso il Silenzio viene equiparato a un arresto del tempo (il tempo lento di Keats, appunto, ove si può fissare all’infinito un’urna greca) ed il pensiero del silenzio e dell’eternità prepara un pensiero di là del pensiero. Scriveva Rilke  che un Silenzio non è mai solo, ma è costituito da infiniti silenzi che in esso si raccolgono. Così per noi, che anche recentemente scrivemmo del Silenzio (Fondazione Bosca, l’azione del silenzio, Canelli 1998), possibile “conversare” oggi con la pittura di Ines Daniela Bertolino.

       Allestita nei raccolti locali della Galleria Dantesca dei fratelli Fogola, editori in Torino da generazioni (a cui va riconosciuto il merito di continuare con dedizione la tradizione di abbinare la lettura dei libri all’arte, la poesia alla pittura), la mostra comprende quaranta opere recenti tra dipinti ad olio, acrilici su tela ed acquarelli. La tematica, o meglio la poetica, è una, che l’artista dedica alla Natura: il Silenzio, ovvero i silenziosi spazi del tempo. Le sue opere sono per noi altrettanti “paesaggi del silenzio”, ove i colori, estremamente meditati e sentitamente “interiori”, sono sostenuti dalla qualità di una indagine espressiva che, come annotava Angelo Mistrangelo in occasione della personale alla Galleria Fogliato 1998, “si stempera in un fare controllato”, avvertendo in essa una felice sintesi d’insieme.
       Infatti, se è vero che nella sua arte “calma e ponderata” la ricerca (per noi anche tecnica) è soprattutto determinata dalla soave e colta staticità riflessiva, è altrettanto vero che tale sua “filosofia” di vita e pensiero è in parte resa più espressiva e viva da una buona cultura, come dire, cultura “letteraria”, che ne corrobora, accende e rianima squisitamente, ma anche provocatoriamente, la luce e il tono.

        Coltivare la dimensione della sensibilità è negli intenti di Daniela Bertolino. Per lei dipingere significa evocare il luogo incantato. In questi quadri, in questi luoghi vi “abita” solitario come un profeta eretico, lo spazio senza tempo. Luoghi di sogni e di memorie, in cui appare possibile anche l’incanto del colore impossibile, del colore blu infinito, imprendibile con la ragione, ma solo col sentimento. Soggetto dei suoi quadri è tutto quanto è “sentimento della natura”, “sentimento del tempo”. Un tempo proustianamente intenso e lento, impregnato di profumi delle stagioni, delle attese, dei desideri e dei ricordi. Un tempo del desiderio di perdute fragranze, di perduti attimi, di perduti amori. Di attimi straordinari, che solo la poesia del colore, dell’intensità della luce e della trasparenza dell’ombra, può consentire di saper vedere per saper amare.

        Per Daniela Bertolino lo spazio fantastico della visione nelle sue opere è una dimensione spirituale, di equilibrio e leggerezza insieme, di ponderata armonia totale. Tra realtà e fantasia i racconti, anzi le fiabe pittoriche, estremamente edulcorate in immagini essenziali, simboliche appunto, sono “impressioni profonde”, sono cioè stimolo irrinunciabile all’atto del dipingere. “Affrontando il senso romantico delle cose e assaporando il profumo della terra”- scriveva Antonio Oberti in una recente recensione- “L’artista coglie appieno il respiro di un raggio di sole o il volo di una farfalla…”(1998 ). In opere come “I cancelli del cielo” (tra i lavori più significativi della mostra) è soprattutto la bellezza e l’incanto del tempo sospeso e dell’attesa, ovvero il trasporre le cose dalla realtà al sogno.

        La qualità poi dell’attenta osservazione delle cose, e ancor più, delle superfici delle cose, così incantevolmente “immerse” in quegli spazi celesti, così tersi e permeati di luce, composti e assoluti, epurati da ogni distrazione occasionale, contingente e atemporale, meteorologica, rende le sue opere, nel rapporto dialogico essenziale tra figura e sfondo, oltremodo intriganti, audaci, in sintesi: felicemente poetiche.
        Le sue raffigurazioni sospese nel tempo e nello spazio della pittura, sono anche per noi, come con giustezza indicava Paolo Levi “immagini silenziose che raccontano l’azzurro del cielo e del mare (1998). Ma la sua poetica è la sospensione del “racconto”. Il sapore di un tempo, di un luogo, è parte oggettiva della sua tecnica interpretativa: “Verso lontani prati, intensamente verdi…Apre porte antiche, varcate da innumerevoli presenze, oggi socchiuse nell’attesa che un passo le varchi” (G.G.Massara 1999).
        La personale tavolozza, con quei rari accordi dei blu, e pochi altri essenziali colori a questi complementari, sono la sostanza dei suoi “cieli”, dei suoi spazi, delle sue luci surreali e lunari.
        Sono, in fondo, la poesia degli spazi e dei “cieli” pavesiani e dei suoi amatissimi paesaggi di Langa. Ai suoi colori si accordano, infatti, i temi prediletti della sua autobiografica pittura quali i paesaggi e, ancor più, gli scorci di paesaggi e paesaggi, tersi e silenti, stupendi e immobili, anzi sospesi, quasi metafisici, nel tempo dell’ora e nello spazio del ricordo.
        Uno spazio “suo”, evoscelto, profondo e sensibile al richiamo della propria “voce interiore”, dove più si percepisce il racconto musicalissimo per dolcezza e intuizione, con la più lirica, ma anche tragica solitudine. Qui, nelle sue opere, la presenza dell’uomo, se proprio vi deve essere, non è più solo”vista”, ma “sentita”. Queste immagini dipinte sono “nostalgie della vita”, colte dall’artista piemontese sempre con essenziale garbo compositivo, e pienezza comunicativa davvero esemplari. Così è nei paesaggi, tra alberi e cancelli, la serie delle porte ( dai suggestivi tagli verticali), e delle tenerissime rose.  Opere che comunicano un’irrinunciabile ed esistenziale, necessario e umanissimo bisogno di affetti e amori che, della vita sono la misura, l’essenza stessa e la fragranza più vera.

        A proposito ancora del blu, anzi, delle profondità immanenti dei suoi blu, come l’incanto dei notturni da lei dipinti, lo spazio del colore che più le appartiene, significa ancora e soprattutto il mistero dell’esistenza. O, se si vuole, quella scorta di felicità che è divenuto racconto fantastico di un poeta come Ferdinando Albertazzi (1998). Ed era intitolata “D’azzurro” la sua personale alla galleria Fogliato (Torino 1998) con una presentazione di Angelo Mistrangelo. Così il “fluido azzurro” si tramuta in incanto dello spazio e del cielo, in incanto del blu, ma insieme anche del verde e del viola, dei colori cari allo sfondo della luna e delle stelle, in quello spazio infinito del ricordo d’un brivido all’alba o al crepuscolo, d’una emozione epidermica e trmante del fruscio degli esigui e sottili steli d’erba (come nel suggestivo “Trema l’erba d’intorno”, così tenerezza della trasparenza  d’una flebile e leggerissima farfalla.
        Negli oli, negli acrilici su tela e, soprattutto nei morbidi cromatismi degli acquarelli su carta, spazi straordinari per le sue altrettanto straordinarie rose (rosa , rosa bianca e rosa lieve, sono da non dimenticare una volta viste), che il mondo di Daniela Bertolino è fatto di fragranza di luce e sospensione nel tempo, acquista, nella sua compiutezza, forza e valore. Dunque il mondo visto con gli occhi d’artista è un mondo migliore. E’ un mondo che insegna a vivere meglio i sempre più rari attimi di pienezza e gioia di vita. Il racconto del mondo, della natura, e dunque anche dell’uomo, è in un granello di sabbia, nella polvere dei secoli, nella materia e nella sua immagine, fisica e metafisica, quale l’essenza stessa della sua superficie (intesa per noi in senso florenskijano), del suo colore e della sua forma, della sua luce: è dunque qui il mondo vivificato dell’esistenza, caduta e salvezza insieme della vita, caduta e salvezza insieme dell’arte.

        Ora infine, a conclusione del nostro breve scritto, potremmo dire che qui per noi qui il silenzio delle cose, e solo il silenzio è in  grado di trattenere significati che sono impermeabili alla parola.Lasciamo allora – per dirla con Savinio – che il silenzio ci protegga.(Giorgio Auneddu 2000)     

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