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Sandro Lobalzo

        

        Cose, luoghi e storie - Guardo un dipinto di Sandro Lobalzo e ho un tuffo al cuore, come capita a volte sommuovendo le stratificazioni di tracce che sono le case dove si è abitato a lungo o esplorando cassetti non più frequentati: ho riconosciuto infatti il nano ridanciano(cosiddetto nel lessico familiare), cioè una figurina in legno dipinto che ha accompagnato la infanzia mia e dei miei fratelli. La bocca sgangherata del nano nella storia certo diversa evocata da Sandro rima con la spaccatura dentata d'una melagrana (se sia stato il nano o la melagrana a generare l'altro speculare, questo non so).

        Chissà perché - nemmeno posso dire d'aver particolare intimità con Lobalzo, per quanto sia più che trentennale la conoscenza -, ma è un fatto che, da quando mi è capitato di ragionare sulla sua pittura, più d'una volta i percorsi della nostra memoria si sono incrociati. Mica sto insinuando misteriose corrispondenze; voglio semplicemente sottolineare la forte suggestione che le sue immagini, fredde, riescono a raccogliere e provocare.

        Cose e luoghi, è certo, arrivano da lontano, qui, negli acrilici di Sandro, dove l'evidenza può raggiungere il massimo della chiarezza ma sempre si trascina appresso una scia d'ombra, un alone di nebbia o un certo lucore, insomma i segni visibili di una natura fantomatica.
        E, come sono affiorati, così essi - cose e luoghi - possono svanire, facendo al contrario il percorso che ne ha consentito la manifestazione.

        L'occhio descrive i particolari, aiutato dall'abilità della mano che costruisce sul foglio di carta ciò che una rabdomantica emozione ha isolato nel magma altrimenti indifferenziato del tempo.
        L'occhio, guidato dal ricordo commosso discrimina il materiale della memoria: frammenti, lampi si richiamano, per assonanze o dissonanze o altre relazioni, aggressive e insieme fragili, che non sai se c'entrino in partenza o siano a loro volta frammenti alieni o strategie più o meno efficaci per attivare percorsi e significati.

        Lo stesso Lobalzo mi dà un buon suggerimento su un foglietto mal battuto a macchina: le immagini nemmeno tanto si presentano quanto rappresentano tracce di trascorsi, spezzoni di vissuto, significano in essenza perfino al di là di particolari storie, e perciò appartengono a tutti o almeno toccano tutti entrando in tante storie, perciò appartengono a tutti o almeno toccano tutti entrando in tante storie, perchè patrimonio comune differentemente utilizzabile.

        Come dimostra anche l'ultima serie tematica: i ponti, per la prima volta esposti. Non si tratta di fare della psicanalisi a buon mercato e tanto meno della iconologia di grossa pasta. Ciascuno di noi - è un fatto - può racimolare nella memoria, nemmeno necessariamente remota (un sogno ricorrente ancora ci ha sorpreso l'altra notte), qualcosa che si articoli intorno alla immagine di un ponte teso tra due rive.
        Personalmente, la storia è favolosa, legata - credo - ad un libro o ad una narrazione orale, che solo più tardi ha protagonista Lancillotto del Lago o Sacripante (ma c'è anche un ponte del diavolo che mi perseguita).
        Le due rive sono, rappresentano mondi diversi, desiderabile in particolare l'altro. Il ponte congiunge pericolosamente: in mezzo c'è il baratro e sopra qualche ostacolo rende difficoltoso e quasi impossibile l'attraversamento. Il transito avviene solo in una direzione e quindi comporta, con il guadagno se c'è, una grave definitiva rinuncia.

        A suo modo, non è meno fantastico un ponte basso e modesto che scavalca niente più d'un fosso: é un ponte 'privato', nascosto e reso quasi invisibile dall'incombere di vegetazione disordinata, che a sua volta separa il luogo segreto dall'invadenza di mostri alieni, per esempio industriali. Chi di noi ha vissuto sui margini della città nell'infanzia favolosa, potrà intrecciare ricordi e immediate osservazioni rispetto allo stesso luogo, con il ponte. (Pino Mantovani)        

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