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Laura Olivero

            La Passione dei Libri - Il titolo è volutamente ambiguo. Il doppio senso che contiene si chiarisce non appena si passi in rassegna la antologia di Laura Olivero alla "Legolibri", il cui spazio può apparire nell'occasione persino più congeniale che non quello di una galleria d'arte. La passione per i libri è per Laura dominante fin dai tempi della scuola, quando li scoprì e cominciò a nutrirsene incessantemente. Siamo dunque in presenza, nello stesso tempo, di un ritorno e di un omaggio. Laura pone da anni i libri quali protagonisti dei suoi quadri accanto a pochissimi altri oggetti (i solidi geometrici platonici o le tele su cui dipingere, ad esempio) ed essi sembrano qui ritornare ad una sorta di luogo di origine e ricollocarsi tra quegli scaffali dai quali un tempo sono stati prelevati. Essi tornano libri trai libri e da qui nasce l'omaggio, la dichiarazione di quanto importanti essi siano stati non solo per la sua formazione intellettuale, ma anche per la sua stessa pittura. In qualche modo sembra che Laura voglia rendere conto ai libri di quanto, grazie ad essi, abbia maturato in termini d'arte, di sentimento e di pensiero. I suoi libri dipinti, posti accanto a quelli materiali, appaiono come frutti maturati da uno stesso albero e concludono un viaggio che va dalle pagine alla mente e da questa alla tela, per tornare infine alle pagine ordinate sugli scaffali.

            I suoi quadri portano sovente titoli che fanno riferimento a opere letterarie, poetiche e filosofiche, oppure contengono la dedica ad un autore (Omaggio a Neruda, per esempio); ma possono anche alludervi soltanto, lasciando al riguardante-lettore il compito di interpretare il riferimento. E' il caso di 30 novembre 1935, ispirato ad un omonimo racconto di Antonio Tabucchi. Le ultime parole di Fernando Pessoa, rivolte ad un amico apparsogli come in una visione finale, sono lo spunto prescelto: "Ma ora basta, mio caro Antonio Mora, vivere la mia vita è stato vivere mille vite, sono stanco, la mia candela si è consumata, la prego, mi dia i miei occhiali ". Il quadro che vi si ispira è una vera e propria vanitas, una riflessione sulla caducità, che riprende la tradizione seicentesca del tema affidata agli oggetti di una natura morta, la quale per definizione vede assente l'essere umano al quale pure quegli oggetti appartengono.

            Ed è appunto questo riferimento all'uomo e all'umano a costituire l'altro possibile senso del titolo della mostra: la passione vissuta dai libri in prima persona come sofferenza e martirio, sulla pelle e sulla carne delle loro pagine. Nel recente libro di Silvia Ronchey L'enigma di Piero, che costituisce l'ennesimo tentativo di sciogliere il mistero della famosa Flagellazione di Piero della Francesca conservata nel Palazzo Ducale di Urbino, è citato un brano della lettera del 31 maggio 1468 che il cardinale Bessarione scrive al doge di Venezia Cristoforo Moro all'atto di donare alla- città la sua biblioteca, oggi conservata alla Libreria Marcianti: "Non c'è oggetto più prezioso, non c'è tesoro più utile e bello di un libro. I libri sono pieni delle voci dei sapienti, vivono, dialogano, conversano con noi, ci informano, ci educano, ci consolano, ci dimostrano che le cose del passato più remoto sono in realtà presenti, ce le mettono sotto gli occhi. Senza i libri saremmo tutti dei bruti"

            Attraverso queste parole diviene più chiaro il senso dei dipinti scelti per questa esposizione. Essa infatti sembra incentrarsi soprattutto sul tema della minaccia alla sopravvivenza e alla integrità di quei nobili oggetti, soprattutto quelli vecchi e antichi sobriamente rilegati, i quali appaiono protagonisti di vicende drammatiche, se non addirittura tragiche, o annunciate o già avvenute o ancora in atto. La visione della terra, quasi contesa tra l'uovo di pierfrancescana memoria che sormonta il libro aperto e le cupe tonalità di cui appare ricoperta, può essere l'immagine più emblematica di uno stato sospeso tra rinascita e catastrofe.             Ma colpisce anche l'accostamento tra il fuoco sullo sfondo e la catasta di libri in primo piano che incontriamo altrove. Il rogo dei libri appartiene alla più sconvolgente memoria del Novecento, ma qui esso non è ancora in atto e ci viene indicato solo un pericoloso accostamento, un convivere al di qua della soglia di sicurezza fra entità il cui contatto non può che essere disastroso per l'oggetto più fragile e più nobile. Il libro crocifisso porta invece evidenti i segni del proprio martirio sempre attuale e rivela forse più di ogni altro il senso profondo di queste pitture, nelle quali il libro è fondamentalmente il correlativo oggettivo di una condizione storica umana. Forse anch'esso potrà dire con il Cristo sul Calvario della Passione di Enrico Luzi: "Padre mio, mi sono affezionato alla terra / quanto non avrei creduto./ E' bella e terribile la terra.“

            Il titolo della mostra vuole dunque attirare l'attenzione sul suo interesse primario: guardando ogni libro è legittimo pensare "questo è un uomo " ed è sul suo destino che l'artista ci invita a meditare. (Willy Beck)

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