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Laura Olivero

   Laura Olivero – Tra Pagine e Tele - C'è un personaggio di Italo Calvino che si chiama Irnerio. Porta un nome bello e desueto, che appartenne ad un illustre giurista bolognese di età medioevale. Lo incontriamo due volte lungo la trama di Se una notte d'inverno un viaggiatore: la prima volta è nel capitolo terzo, all'interno del palazzo dell'università, quando guida il protagonista maschile, il Lettore, all'istituto di una lingua morta, il cimmerio; la seconda volta nel settimo capitolo, in casa della protagonista femminile, Ludmilla, ovvero la Lettrice, con la quale mostra grande familiarità.

        Irnerio, come i due eroi del romanzo, vive immerso in un mondo di libri, ma a differenza loro non li legge. Il suo rifiuto si estende in realtà a tutto ciò che è scritto e dalle sue spiegazioni si direbbe che egli abbia in tal modo adottato una forma rigorosa e perfetta di autodifesa: "Mi sono abituato così bene a non leggere che non leggo neanche quello che mi capita sotto gli occhi per caso. Non è facile: ci insegnano a leggere da bambini e per tutta la vita si resta schiavi di tutta la roba scritta che ci buttano sotto gli occhi". Egli sembra insomma farsi paladino della nostra stessa coscienza, della nostra identità che vuol restare libera dai condizionamenti che la realtà ci pone e che assorbiamo soprattutto in modo inconscio a causa del nostro stesso vivere nel mondo. Ma come ha fatto a raggiungere questo risultato? "Il segre­to è di non rifiutarsi di guardare le parole scritte, anzi, bisogna guardarle intensamen­te fino a che scompaiono".
        Irnerio è infatti il Non Lettore. E allora perché continua a vivere in mezzo ai libri? E lo spiega lui stesso: “Non è per leggere. E’ per fare. Faccio delle cose coi libri. Degli oggetti. Sì delle opere: statue, quadri, come li vuoi chiamare. Ho fatto anche un'esposizione. Fisso i libri con delle resine e restano lì. Chiusi, o aperti, oppure anche gli do delle forme, li scolpisco, gli apro dentro dei buchi. E' una bella materia il libro, per lavorarci, ci si può fare tante cose". E non finisce qui, infatti i critici stanno scrivendo su di lui, si sta per pubblicare, guarda caso, un libro con la riproduzione delle sue opere: "Quando questo libro sarà stampato lo userò per farne un'opera, tante opere. Poi me le metteranno in un altro libro, e così via".

        A questo punto facciamo per un momento il gioco del "se fosse..."
Se fosse un personaggio letterario la pittura di Laura Olivero sarebbe una felice sintesi dei tre protagonisti del romanzo di Calvino, una creatura capace di riassumere in sé la vocazione prepotente alla lettura dei primi due con la capacità critica distanziante e creativa del terzo. Il Lettore e la Lettrice sono in fondo solo dei "consumatori" di libri, ne dipendono come da una droga e per tanti aspetti finiscono per esserne schiavi: tutto il romanzo non è che una lunga fuga circolare dietro a libri che iniziano e si interrompono, una corsa affannosa cui forse neppure il finale darà conclusione. Irnerio è l'unico capace di divenire un creatore a sua volta, di trasformarsi da puro utente passivo in creatore fattivo. La sua passività non è che la premessa dell'attività costruttiva, che costituisce la vera reazione ad un mondo che altrimenti ci trascina dove vuole.
        I libri, ci dice Calvino, nascono soprattutto da altri libri. Anche i quadri possono nascere dai libri. Laura Olivero trova sovente in essi la fonte di ispirazione, lo spunto su cui meditare e dal quale trarre immagini. Ma, come per Irnerio, anche l'oggetto-libro è degno d'interesse. Esso diviene soggetto della pittura con la stessa dignità dei solidi geometrici platonici o del paesaggio o degli oggetti dell'arte religiosa. Molti dei libri che compaiono nei suoi quadri hanno dimensioni imponenti, sono letteralmente "voluminosi", appaiono quasi monolitici, si impongono per la loro fermezza e chiusura tanto che stenteresti a credere che si possano aprire e sfogliare. Si compongono a volte in piramidi che salgono al cielo fondandosi su solide basi appoggiate al suolo e divengono così l'emblema stesso dell' aspirazione a salire, a crescere, a passare dalla materia allo spirito. Il libro è la guida delle anime, lo psicopompo della mitologia greca, e sembra assolvere al doppio ruolo che gli antichi attribuivano a Mercurio: portare agli uomini il messaggio degli dei e condurre i mortali al mondo superiore. E' per questo che a volte, a dispetto della loro apparente pesantezza, i libri sembrano diventare leggeri, capaci di lievitare nello spazio al punto da comporsi in aeree ghirlande rotanti; le pagine si schiudono, i fogli compressi si liberano, si staccano, volteggiano ognuno per conto proprio.

        I pesanti volumi sono in realtà formati di fogli leggerissimi e volatili. Se lasciati liberi essi si distendono, ondulano, si accartocciano, danno vita a forme concave e convesse che volteggiano nel vuoto. Nel loro volteggiare incontrano a volte oggetti dalla struttura aperta, con i quali prendono a dialogare come in una danza, in una forma naturale di corteggiamento. L'astrolabio, ad esempio, o i solidi a base circolare o pentagonale paiono gabbie aperte che hanno liberato i loro prigionieri trasformandosi in luoghi apparentemente accoglienti e i fogli sembrano dialogare con le loro strutture esili, nitide, innocue. E' per questo che ci si chiede sconcertati come avrà fatto allora quella pagina a finire schiacciata sotto il peso di tutta la struttura.

        Qualche mano invisibile ha colto alcuni fogli e li ha configurati come aerei per bambini che ora sembrano volare come animati da forza autonoma, ognuno rivolto verso la propria direzione che non è quella degli altri. Un volo che appare però come bloccato, irrigidito nella composizione formale della quale ogni elemento entra a far parte essenziale e ineliminabile. E' come se essi sentissero ancora e sempre di far parte di un tutto (il libro) al quale sono stati strappati e non riuscissero a separarsi definitivamente tanto è forte il richiamo della comune origine. Tanto è vero che spesso i fogli sembrano dotati di una loro coscienza e capacità organizzativa. Se il viaggio solitario è pericoloso allora sanno organizzarsi in schiere, in stormi, in formazioni compatte che non temono di affrontare le grandi distanze che si annunciano all'orizzonte oscuramente.

        Più che "fogli" sono "pagine". Sono pagine bianche di romanzi potenziali, poesie ancora da intuire, trattati filosofici di cui non è ancora nato il pretesto e forse nemmeno l'autore, elenchi di nomi e cose che un giorno copriranno fittamente di righe nere quegli spazi vuoti. I libri, come abbiamo visto, sono spesso sentiti da Laura Olivero come entità numerosa, come i mattoni da costruzione di edifici ideali. Ma poi c e anche "il" libro, il testo isolato e solitario, l'individuo che si distacca dalla massa dei libri, il volto tra la folla, "quel" libro, non un libro qualsiasi.Ciò vale per i libri che lei ha più amato e che spesso sono rievocati nei titoli delle sue opere, ma vale anche e soprattutto per quel libro straordinario fra tutti che sta inchiodato alla croce come un Cristo. E' un libro antico, sgualcito, già passato attraverso una sua lunga Passione di cui restano segni drammatici. Sono enormi quei chiodi che lo fissano al legno e se anche non scorre il sangue la tragedia è immensa e tutta umana.

        Sì, la pittura può nascere dai libri. Ma può nascere anche dalla pittura, dalla sua materia, dagli oggetti e strumenti che servono a praticarla. E' un altro capitolo della vicenda artistica di Laura Olivero, ma ispirato alla stessa idea, animato dalla stessa suggestione metafisica. La tela è lì, bianca come la pagina di un libro ancora da scrivere, perfettamente corrispondente al paesaggio che si intravede, messa lì per ricevere luce o per prendere spunto dall'esterno, orientata nitidamente nello spazio come elemento di una costruzione prospettica cui concorre anche la stessa struttura della finestra. Tutto è ancora potenziale, nessun soggetto sembra ancora essere stato prescelto, ma non ci si deve lasciare ingannare dall'accostamento che verrebbe più naturale.  Su quella tela non verrà certo dipinto il paesaggio che gli occhi della pittrice potranno anche contemplare, ma al quale non degneranno più attenzione di quanta non ne degni Irnerio alle parole scritte attorno a lui. Il suo sguardo è rivolto al di là del foglio, della tela, della finestra, del paesaggio, tutto concentrato su quella visione interiore che è la vera dimensione della sua pittura (Willy Beck)

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