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Carlo Giuliano
Nulla è equivalente al recitare per via di forme in un assoluto silenzio (Rolando Bellini) - Carlo Giuliano esordisce nel 1961 con una mostra presso la Promotrice di Belle Arti di Asti, e da subito vive un crescendo di attività e di affermazioni. E già nei primi anni Settanta egli può vantare una "letteratura artistica" di tutto rilievo: avevano scritto di lui e della sua arte Luigi Carluccio, Paolo Fossati, Mirella Bandini.
Viene però assorbito dal teatro prima ancora di prendere ad insegnare scenografia, nel 1971, presso l'Accademia Albertina di Torino. Si fa scoprire come scenografo di talento, collaborando con i maggiori registi teatrali (Missiroli, Ronconi, Gregoretti) e firmando alcune scenografie memorabili.
A partire dal 1976 è scenografo e direttore degli allestimenti scenici del Teatro Stabile di Torino. Quest'impegno totalizzante, che lascerà soltanto per assumere, nel 1992, la Direzione dell'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, lo costringe a proseguire in operoso silenzio la propria parallela ricerca artistica, rinunciando alle mostre che comunque gli vengono offerte. Dopo anni di apartheid, dunque, Carlo Giuliano torna ad esporre in galleria. Presso la Galleria Biasutti. Viene dunque naturale chiedersi che traccia affiori nel lavoro attuale di questo poliedrico artista.
L'attuale Carlo Giuliano è documentato, in mostra, da circa 30 opere, opere in cui vi è forse una eco sottile di ciò che è trascorso nella predilezione e nell'impiego di materiali "poveri" - dai vetri frammentati, ai carboni e ai gessi più gessi - , come nei costrutti compositivi di evidente impianto geometrico, riecheggianti la men.rura, le stereometrie del teatro.Vi è una gestualità peculiare in quest'attuale Giuliano, che lo lascia oscillare tra esattezza estrema e libertà incontrollata di gesto e di invenzione, di forma e di contenuto. In merito agli ultimi elaborati di quest'autore sovvengono altri argomenti, ed è come se affiancassimo Umberto Eco nelle sue recenti "passeggiate nei boschi narrativi". Spazio-tempo narrativo, testo e paratesto, io narrante e io recitante, il testo ed il suo "doppio", in ogni ciclo - breve e lungo - di opere vi è un'infinità di rimandi, sia alla letteratura, sia al teatro, ma trattasi sempre di rimandi intermittenti, di "sentieri interrotti". Diresti vi sia una qualche implicazione heideggeriana. Sennonché, essa pure è rovesciata di senso, è tradotta in altro da sé. Il segnale di tutto ciò è lanciato da alcune dichiarazioni formali esplicite: vi sono in mostra, accanto alle altre opere, alcune palesi riduzioni in scala di opere destinate a spazi macroscopici. Il loro significato è qualcosa che oscilla tra il circo del primissimo Calder e le figurelle ed i castelli figurati dell'esordiente Giacometti. A saper vedere, dunque, si scopre che in Giuliano vi è pari presenza della giocosità calderiana e dell'ombrosità delicata, inquieta, del primo Giacometti. Ironica allegria e pensosa sofferenza si mescolano l'un l'altra.
Ma che dire degli altri "pezzi"? L'architettonicità caricata di ironia, tesa tra l'assoluto della esattezza cartesiana e la estrema libertà e incongruità, quest'architettonicità data dall'abbandono agli umori fantastici, dal gesto interrotto, dalla stanchezza estatica di un Peter Handke, come dall'impiego di ludi impiantati su geometrismi cristallini, di radice euclidea ma di sviluppo neo-cartesiano, questa bipolarità presente negli attuali elaborati di Giuliano, solo apparentemente si ricollega agli antefatti. Non vi è, in vero, alcuna volontà di ripresa né del rapido passaggio informe né di altro che preceda e segua, come la progettualità limpida che alimenta la leggerezza visibile in opere del 1993-94. Piuttosto, invece che il ricupero di robotismi ironici, già esperiti nel 1994, od altri evocativi slanci che lo facciano reincontrare con i propri atti di ieri, l'attuale Carlo Giuliano tende ad un minimalismo recitante. I gessetti tradotti in segno-forma che si sposano al gesso, questi gesso più gesso, riescono a superare l'enunciato tautologico ordinario: il gesso è ciò che vedo, proprio lo stesso gesso. Eppure vi è una differenza che mette in crisi l'enunciato logico wittgensteiniano.
In altri termini, Giuliano azzarda una nuova ricerca, un cammino inedito... Egli destruttura ogni apparenza ed ogni forma e nel contempo la ricarica di senso e la ripete "recita" dunque quell'atto, oltre la iterazione tautologica, in una ripetizione significante, emblematica, rituale, andando oltre il rispecchiamento-rovesciamento artaudiano, oltre il dicibile vedere. Ecco, Giuliano riesce ad esprimere una ritualità ormai perduta dall'arte.
Ma tutto questo egli lo realizza in termini sottili, spendendo il minimo di spazio e di azione. Diresti, in sordina. Cosicché in ultimo, costatando quanto e come si possa esser "catturati" dall'incantamento che suscita la contemplazione di ogni singolo "pezzo", il calarsi entro quei mondi minimi, quelle misure frementi e delicate, ecco che quel "recitato" viene ad acquistare il timbro elegiaco del canto di tirambico; ecco che quella ritualità inaspettata viene a caricarsi del ritmo indicibile del canto poetico. In una parola, Carlo Giuliano riesce a manifestare e concretare in pochi atti, nudi, un lirismo commovente. Ed in esso si racchiude e si somma l'intero iter, la intera biografia artistica ed intellettuale di quest'autore che, ancora, vuole mantenersi estraneo ai clamori cui viceversa sembrano assoggettarsi in molti fra gli stessi operatori visuali. Perciò egli resta sul limite di un margine d'ombra (quell'ombra tanto cara ad Hugo), non più timidamente, ma certo con la riservatezza di colui che non ama, non può più né apprezzare né perseguire le variegate espressioni di una dilagante mondanità. L'aura lirica che emana da questi piccoli enti, da queste modeste eppur delicate opere, è l'effetto di questo riserbo, è l'eco del loro stesso canto. Tendi l'orecchio, ma è l'occhio che ode: cosicché scopri che nulla è equivalente al recitare per via di forme, in un assoluto silenzio. (Rolando Bellini, Maggio 1996 (da "Carlo Giuliano" Galleria Biasutti 1996 Cat. Geometrie e spazi virtuali. È Giuliano, architetto "d'accademia")
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