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Giovanni Borgarello

 

         Non Chiamatele Pietre - Le sculture amano stare sole; non vogliono estranei nei loro paraggi. Forse è nella loro natura essere ritrose ed un po' difficili di carattere. Anche quelle apparentemente più cordiali pongono intorno a loro limiti invalicabili. Si circondano di solitudine e di silenzio. Non rinunciano alla loro istintiva diffidenza. Osservano regole di comportamento molto rigorose. Non lasciano molti spiragli ai segreti delle loro anime.

        Le meravigliose statue dell'antichità classica, nella loro algida purezza, non ammettono eccessive confidenze. Quelle egiziane pre­tendono umili riverenze. Quelle dell'antica India sono spesso suscitatri­ci di terrore. Tutte vogliono essere contemplate con discrezione. Non sono mai di facile approccio. Sono creature un po' suscettibili; non vogliono nelle loro vici­nanze nulla che possa turbarle.

        Eppure quelle di Giovanni Borgarello, sparse per l'aperta cam­pagna o per le strade cittadine, hanno teneri involucri ed invisibili porte stranamente socchiuse, in attesa che qualcuno osi spalancarle. Si rifugiano nell'ombra degli alberi o delle case come se cercassero una nicchia nell'interno d'una chiesa dove attendere il passare del tempo. Sono il prolungamento di antiche fronde. Forte è la tentazione di accarezzarle (ma le sculture non si accarezzano, si guardano soltanto ed anche da una certa distanza). Sembra sempre che dicano "noli me tangere", anche se poi si lasciano accarez­zare dallo sguardo o dall'aria, dal vento o dalla luce del sole e da quella lunare.

       Di solito le sculture stanno bene soltanto in uno spazio remoto, dove nessuno possa interferire con le loro meditazioni e con i loro gesti, poiché se alcune se ne stanno quiete ed immerse nei loro pensieri, altre amano invece muoversi e gesticolare e non vogliono che nessuno interrompa le loro azioni. Stanno bene soltanto tra di loro, ma a patto, anche in questo caso, che ognuna stia a distanza di sicurezza l'una dall'altra. Non ammettono nemmeno la vicinanza d'un quadro odiano le tende ed i tendaggi, le pareti troppo colorate, le finestre che diffondono una falsa luce, i tappeti troppo pesanti, i vasi di porcellana che potrebbero cadere da un momento all'altro con un fracasso fastidioso. I rumori le fanno impazzire di rabbia.

        Al massimo le sculture possono sopportare la presenza umana, ed è su questo punto che Giovanni Borgarello innalza le pareti dei suoi monumenti, a condizione che i visitatori vengano avanti uno alla volta ed in punta di piedi. Le sculture hanno una pelle sensibilissima, anche se costruite di rude pietra, ma esse sono, in definitiva, figlie dell'uomo. Lo scultore ha sempre con la materia un rapporto umano, fatto di fatica fisica e di passione mentale, e Giovanni Borgarello ha un forte sentimento possessivo nei loro confronti. Gli appartengono come se facessero sempre parte delle sue più profonde emozioni.

       Occorre osservare nei loro confronti una certa prudenza, come la storia ci insegna. Se minacciate le sculture sono anche capaci d'or­rendi delitti. La scultura del Commendatore da secoli si abbatte sul capo del povero Don Giovanni appena passa nei suoi pressi. Un'altra scultura assai più voluttuosa stritola tra le sue braccia lo sposo il giorno delle nozze: è la Venus d'Ille di Prosper Mérimée, ma altre se adeguata­mente accarezzate fioriscono alla vita, come accadde in tempi remoti a Pigmalione. La più ambigua di tutte è certamente quella di Wihlem Jensen - che tanto affascinò Freud ed i surrealisti,  una virgo romana che cammina a piedi nudi nello spazio, un prezioso bassorilievo di marmo che il protagonista del romanzo chiama Gradiva e che nella luce di Pompei diventa una donna in carne ed ossa, un po' come nel mito di Pigmalione. È questo il caso di Giovanni Borgarello che un poco alla volta, levigando intensamente la pietra, conduce le sue sculture in una dimensione umana.

        Le sue figure scultoree sicuramente amano il cielo, amano gli alberi, a cui si sentono profondamente affini, amano gli spazi liberi ed aperti. Forse di notte potrebbe essere possibile vederle mentre pas­seggiano in aperta campagna, per poi ritornare nei loro solchi alle prime luci dell'alba.

        Le sculture non possono mai dimenticare d'essere nate dalle profondità della terra, dal fianco delle montagne, dai ciotoli lambiti dal mare. È essere modellate dalle mani dell'uomo. Nascono sempre da una voca­zione imperiosa che non appartiene solo all'artista, ma anche alla loro anima segreta. Le sculture di Giovanni Borgarello posseggono la voce d'una antica sapienza che vuole essere ascoltata, che diffonde una specie di messaggio esoterico. È raro vedere sculture dotate d'una profonda voce interiore che passa attraverso gli interstizi della pietra.

        Giovanni Borgarello è uno scultore singolare, unito alla dura materia del suo lavoro da un amore quasi primitivo, capace di parlare quotidianamente alla pietra e di ascoltare pazientemente i suoi mormorii. Ho l'impressione che Borgarello nel corso del suo lavoro intrat­tenga lunghi dialoghi filosofici con la pietra che taglia, che modella, che accarezza, che leviga, che fa sognare (poiché anche le pietre sognano), per suscitare infine nelle sue fibre i suoi antichi ricordi, che in definitiva la supplichi di rievocare il tempo lontano della sua creazione quando venne fuori per la prima volta dall'irruenza del tempo.

        Credo che Borgarello interroghi la pietra come un tempo venivano interrogati i profeti e le sibille, poiché sicuramente sospetta che nell'interno della materia si dibatta ancora l'ombra d'un dio o d'un angelo che tentano di venire alla luce, e non è detto che dopo un'este­nuante gestazione non spunti fuori da un fianco delle sue sculture un'ala vibrante. La scultura non è mai solo scultura, ma è anche una voce e, talvolta, un canto e, forse un eco che serpeggia lungo le sue molecole.Ho detto che è sempre forte la tentazione di passare una mano sul corpo della scultura, per avvertire se è veramente reale, ma in queste opere bisognerebbe invece poggiare l'orecchio sulla loro epidermide per ascoltare il profondo canto delle sirene nascoste negli infiniti meandri, nelle infinite camere che sono all'interno della loro struttura.

        Sono sculture abitate forse da spiriti o da elfi e da gnomi che si sono raccolti nell'interno delle loro grotte, come se la natura stessa, passando attraverso i filtri dell'arte, si fosse un po' depositata in questa complessa foresta di marmi e di pietre che Borgarello pazientemente, da molti anni, ha innalzato. Esse sembrano un poco una metafora degli alberi, di cui lo scultore ha catturato l'ostinato innalzarsi verso il cielo, ed anche il loro salire tortuoso, per successive sovrapposizioni, le sospinge ad immedesimarsi con la crescita degli esseri viventi.
        Sono sculture chiare, in massima parte, sculture limpide, cristal­line; sculture che sembrano fatte con l'acqua e con la luce. La visione artistica di Giovanni Borgarello ha una spontanea, trasparente innocen­za, una sua seducente purezza. Le sue sculture tendono naturalmente all'armonia, pur passando attraverso numerose asperità. Non potrebbe­ro mai commettere una cattiva azione; ma sono animate da una loro bontà interiore, anche se, come tutte le sculture, sono molto suscettibi­li, sono estremamente emotive, hanno una loro delicata sensualità. Sono fatte di sfumature e di allusioni; non urlano, ma sussurra­no, anche quando sembrano estremamente aggrovigliate e, masso con­tro masso, si innalzano alla maniera delle torri antiche.

        Non sono cioè sculture rumorose o chiassose, ma a loro modo sculture intimiste che riescono a fare dimenticare la pietra che le ha generate. La loro superficie è così perfetta e così nitida che la materia diventa trasparente, quasi si dissolve nell'aria. Tra una pietra e l'altra si sente il respiro della natura. Talvolta un foro o un'apertura si apre sulla loro superficie, che lo sguardo può impunemente attraversare, poiché al di là dello squarcio ha inizio un'altra dimensione. Guardare oltre la scultura sembra essere l'ambizione di questo scultore schivo e molto scrupoloso che ha fatto della scultura un canto quasi religioso.
        Le sue forme ascetiche entrano nello spazio con delicatezza, con un tocco raffinato, come se non volessero arrecare troppo distur­bo, ma esse hanno la facoltà di confortare, di sorridere, di ammiccare anche se con un po' di ironia, di diffondere il messaggio della loro pacifica felicità.
I loro gesti non sono mai aggressivi o violenti e non hanno mai nulla di stonato: sono sculture aristocratiche che hanno un'estrema familiarità con il mondo che le circonda.

        Potrebbero essere definite strumenti musicali un po' esoterici, attraversate talvolta da scritte e da segni che compongono un alfabeto ermetico. Non chiamatele pietre. Nel loro interno scorrono acque limpide e cristalline. Diciamo semplicemente che sono solitarie presenze umane, sempre in procinto di dialogare con la coscienza della terra. (Janus)
       

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