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Giovanni Borgarello

         Giovanni Borgarello ovvero ordine rigorico e allampanata fantasia: L'atelier d'un artista dice molto di lui. Dice quello che, a volte, le sue opere lasciano ai più sensibili soltanto intravedere.  Di Borgarello, di questo suo studio-magione-mausoleo, ampio e ben disteso nel Comune di Cambiano verso i campi della Valle San Pietro, si ammirano anzitutto le cospicue forme-totem poste a fronte di un ampio ingresso introduttivo della verde vallata: baluardi di pietra o marmi o calcare, dei Lari di una casa posta a raggiera, che in una lunga sfilata ti avvertono, con minimi scarti formologici, sul loro essere guardiani silenti, o aggressivi molossi, per un visitatore incerto o incauto nell'incedere.

         Sono sculture che della verticalità fanno iniziatica mostra. Al loro fianco: la mastodontica sega, fili diamantati, con argani e verricelli catenosi, scendenti dal grande arco di sollevamento. All'interno del laboratorio: una miriade di silhouettes allampanate, curiosamente buffe nel loro sembiante antropomorfico, arricciato in capo come uno spiritello fuoriuscito da racconti illustrati dell'ottocento (alla Jules Verne, per intenderci) o da comics di fantascienza. C'è infatti, a lato di quest'ordine rigorico dei Totem, un fiorire di surreali tabù, allampanati personaggi, sinuosissime figurine anch'esse slanciate in alto, in legno o in lamierino specchiante, quasi ad inglobare lo spettatore in un sabba gioioso, in una tribale/aliena danza di dèi Mani, a protezione del focolare domestico. Poi ci sono altre "cose", altre formologie sperimentali: vuoi formali, vuoi di materiali. Interessante come soluzione l'iterazione di scarti industriali, provenienti dal Centro studi e progettazione della Fiat, a mò di catena totemica rivisitata nel design. L'incisione insistito su lastra di "quasi" circuiti stampati che, nell'apparente rigore compositivo, rivelano poi essere graffiti di assoluta fantasia astratta.       

       Alla sperimentazione Borgarello dedica molto tempo. Come altrettanto lo impiega nella scelta dei marmi, del loro tagliarli secondo vena con un laser high-tec, come nel provare accostamenti astratti di colore e nuove sostanze. E se la iniziale geometria nitida ed archetipica, nella purezza astratta del significante, ha col tempo concesso alla sinuosità curvolinea una dedizione molto vicina alla scultura di Alberto Viani, ora un atteggiamento surrealisticamente più consono alle invasioni ultraterrestri sembra predominare il suo modo d'agire. Forse più Sutherland che Moore per le silhouettes; come Lam lo si può scovare nei becchi a rostro di alcuni Totem. Per i tabù, cioè per l'altro polo del pensiero ernstiano, bisogna salire al primo piano.   Ove zoomorfe forme compatte divengono guardiani d'ingresso, ove levigatissime forme lignee contendono alla solarità di amplissime finestre il notturno delle loro presenze inquiete; ove il rigorico comporsi di marmi e cristallo formano arredi per un pensatore fantasioso. Dove potrebbe terminare un lungo viaggio verso la notte dell'atelier d'un artista? Nella sua camera da letto, certamente. Come novello e moderno Ulisse Borgarello modella e unisce ad incastro la conturbante compattezza del rovere, sfinendone le armonie di vena in sinfonie di altre timbricità: dal noce al faggio; e anche qui Borgarello compie nel design d'arredo quella sottile dualità enunciata nel titolo: dall'ordine rigorico ad una "allampanata" fantasia. (Giorgio Sebastiano Brizio)    

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