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Giovanni Borgarello

        Vivere tra i Giganti -  Le due meno un quarto, le due, le due e un quarto... 
Solo in questi tempi ristretti, ristrettissimi, è possibile sperare di riuscire ad afferrare un attimo della sua vita violenta di martellatore della materia. Le due meno un quarto, l'altro ieri: "Allora, ci sei? Che fai? Molto lavo­ro? Marmo? Legno? Ancora marmo...? Vengo a trovarti? Sei allo studio? Mezz'ora? Un'ora? Arrivo. Ci vediamo."

        Salto in macchina e parto per Cambiano dove vive il selvaggio amico, l'antico ragazzo che conobbi molti anni prima, l'uomo di oggi dal volto irregolare, come se se lo fosse scolpito da sè una mattina presto d'in­verno. Da Torino a Cambiano attraverso Moncalieri, splendido borgo che trattiene ancora incredibilmente il ricordo del tempo passato e non ha fretta di correre dietro nessun modernismo. Superato Moncalieri si prosegue e già si è in Trofarello, anch'esso piacevole da attraversare. Ora la strada dimentica le curve, i semafori, le banche, i campanili e per un rettilineo va sparata come una fucilata fino a Cambiano. Alber i= legno: primo segnale. Tre semafori in fila uno dietro l'altro appaiono. E questo è bello: si può scegliere. Al primo semaforo, non ho mai dubbi. Scelgo di svoltare a sinistra e per una strada che zigzaga come una serpe grigia entro in Paese. Passo davanti alla casa dei Carabinieri ed al circolo di tennis. Senza rallentare guardo i campi di tennis e penso: vengo da Torino e vado a Cambiano a trovare lo sculto­re B, anzi ci sono appena arrivato. Scalo la marcia e varco il cancello di metallo azzurrato. Il rumore dei pneumatici sulla ghiaia mi avverte che ho appena lasciato il mondo civile e che sono arrivato dal lupo.

        Dapprima un enorme marchingegno per tagliare il marmo come burro, poi mi vengono incontro, uno ad uno, bianchi monoliti, sculture di strani animali in letargo che è salutare non risvegliare. Marmi, graniti: secon­do segnale. Lui è la, col suo sorriso stretto su quel volto da ballerino russo fuori moda (oggi vanno gli americani “cocacola&fitness”). E quelle mani forti, dure, nervose, da strangolatore. Mani ricoperte dalla polvere bianca di marmo. Polvere sui capelli, sul viso, sugli abiti, dappertutto. Pare un ragazzo infarinato uscito da un mulino o un bimbo che ha appena fatto il bagnetto, pieno di borotalco.

        Ma, poi, osservandolo meglio, noto che in una mano stringe un inquietante e spietato scalpello. Tento un sorriso. Quante volte ho pensato che, se per un colpo di sole o per qualche altro artistico accidente, a B gli saltasse il ghiribizzo di darmi una ritoccatina con lo scalpello, io non saprei proprio come reagire, e soprattutto, dubito che ne avrei il tempo. Ma lui, quasi a tranquillizzarmi, mi sorride. Da tanti anni mi sorride (È la mia fortuna!).

       Abbiamo "fatto amico" tanto tempo fa, quando ancora non c'erano i telefonini e la TV non aveva che pochi canali e i computer nessuno sapeva ancora cos'erano e che cosa sarebbero diventati. "Allora, cosa c'è di nuovo?" dico, tanto per distrarlo. Mi parla delle beghe che ha ancora con il sindaco per le sue proteste sulla discarica (una vecchia storia che va avanti da troppo tempo, ed ha diviso il paese in due). Mi racconta della nuova mostra che sta prepa­rando, delle difficoltà di trovare il marmo desiderato, del tempo che è poco e che lo costringe a lavorare anche di notte. Alla fine mi chiede se ho voglia di scrivere qualcosa su di lui sul catalogo. lo ascolto tutto, diligentemente, ma ammetto di non riuscire a togliere gli occhi di dosso allo scalpello che mi agita senza sosta davanti, come a sottoli­neare le sue preoccupazioni.

        Per distrarmi mi dirigo nell'immenso laboratorio a vedere gli ultimi lavori. B mi segue. Con la coda dell'occhio lo controllo e lo precedo, cer­cando di mettere sempre tra noi una distanza di sicurezza; diciamo dieci passi? Nella caverna del creativo ci sono una dozzina di esseri alti più di tre metri che mi accolgono in silenziosa attesa. Sembrano un popolo di filiformi giganti sbucati da chissà quale foresta del passato. A guardarli da vicino e da sotto inquietano, eppure nello stesso tempo non lo so spiegare, emanano una strana tranquillità, calma, sicurezza. B dice che sono presenze scaturite dai suoi sogni ed io non mi azzar­do certo a contraddirlo. Se lo dice lui!
"E gli ultimi marmi" chiedo, ingenuo.
"Dell'ultima mia opera posso farti vedere solo qualche ritaglio di giorna­le e qualche foto, perchè l'Amministrazione Comunale l'ha fatta distruggere nell'area dove era stata esposta."

        Come un automa fa dietrofront e mi invita con un gesto a seguirlo fuori, all'aperto sul prato. Eseguo. Sul prato, dietro l'angolo ovest della villa, all'improvviso mi appare il bianco accecante di un monte, pieno di rughe e di qualche bel buco messo ad arte qua e là. Ha una forma piramidale e, a guardarlo meglio, non so perchè, ma mi rammenta un vescovo o un cardinale. No, il Papa, no! Via, non esageriamo!
"Bello, come lo chiami" chiedo.
        Mi dice che al titolo ancora non ci ha pensato e mi chiede un parere. Glì rispondo che a me pare un alto prelato. Anzi, molto, molto alto. Più di quattro metri! Restiamo in silenzio ad osservarlo e forse ad adorarlo.
        Il tempo vola veloce. È già l'ora per me di rientrare. B mi accompagna alla macchina. Ci salutiamo.  Esco dal cancello e mi volgo indietro a guardare il mio amico, ma lui è già rientrato nell'antro infernale a liberare dal marmo qualche nuova e mostruosa creatura.
        Sorrido malinconicamente, solo. Ritorno a Torino. Ad un lungo e monotono rettilineo ripenso alle parole di B: "Scrivi di me quello che ti pare, anche male, se vuoi!" Ma come si fa a parlare male di uno che, dalla mattina alla sera, ha sempre uno scalpello in mano?
Voi, dite la verità, ci riuscireste?
        Accelero e sorpasso con rabbia un omino su un'auto che va più piano della mia. (Sebastiano Ruiz Mignone)

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