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Carlo Giuliano

        

 Ritratto d'Artista - Il luogo di realizzazione fattiva di uno scenografo necessariamente non coincide con il luogo di ideazione. Ne derivano due corpi, due poli, ciascuno con propria gravità, che si attirano a vicenda determinando orbite interdipendenti. Se poi, lo stesso artista realizza opere finalizzate ad altri scopi e tiene pure dei corsi, ne derivano un terzo e quarto polo attrattivi che rendono  ancora più imprevedibili il centro e le possibili traiettorie.   Il problema dei tre corpi è senza soluzione in meccanica celeste dove agisce solo la forza gravitazionale, figuriamoci nel cosmo interiore di un artista dove interagiscono pulsioni psichiche, senso estetico, ironia, ideali e tecniche esecutive: si va incontro a soluzioni imprevedibili. A meno che uno dei poli diventi dì massa talmente grande da diventare in pratica il baricentro, il "sole" intorno a cui orbitano le altre mass. Giuliano vive in un universo di questo tipo: anni di arte e scenografie, di mostre e corsi di insegnamento, infine Direttore dell'Accademia Albertina, cioè in un centro fisico ed ideale, organizzativo ed ideativo, fortemente attrattivo, intorno a cui gravitano e si dipartono le sue molteplici attività.

        È qui che, salito lo scalone ampio di marmo e attraversato il vasto salone, lo raggiungiamo, nella sala, ordinata ed arredata con mobili di pregio, adibita ad ufficio studio. Tutti luoghi che inducono un deferente rispetto perché, da più di un secolo, hanno accolto, istruito ed indirizzato uno stuolo di artisti piemontesi e non. Il tutto viene accentuato dal pomeriggio silenzioso, mentre statue e targhe commemorative fissano materialmente e simbolicamente questo passato, senza rivelarne la sostanza né la dinamica storica. Né possono indicare il senso del presente, I'anima ultima, che genera speranze e interpreta i riferimenti, futuri. Giuliano è seduto dietro una grande scrivania ingombra di carte, fascicoli cataloghi, penne, nastro adesivo...: A sinistra il computer acceso collegato al sito internet dell'Accademia. Dietro e intorno, oltre ai mobili, alcune sue opere: iI tutto in un'atmosfera mite, rilassata, che pare inconciliabile con la mole di cose fatte e in programma, con gli impegni organizzativi dentro e fuori I'Accademia. "Non riesco a stare senza far nulla. Sono del segno del toro:.ho bisogno di finire, di vedere il finito.         

          Dopo 30 änni ho dovuto riprendere in mano delle tele rimaste in sospeso...". Non si sente intimista, gli piace lavorare con gli altri, inevitabile nell'allestimento di scenografie, e avere a che fate con gli studenti. Così il tempo a disposizione per i suoi quadri è minimo. Li fa a casa, di sera, la domenica, d'estate, vivendoli : anche come gioco. Divertirsi, con un po' d'ironia,sui luoghi comuni, sui modi di dire. Giocare con le luci e le ombre proiettate che girano, come quella dello gnomone nelle meridiane e mutano I'apparenza. L'elenco delle realizzazioni e i fili delle idee, si allungano ed intersecano, si intuiscono in tensione, anche quando non è palese la direzione. Il tono è mite, la parola spontanea, corre senza stancarsi, con calma metafisica confessa di sentirsi molto legato all'Accademia:"Un legame come una malattia....ce I'aveva anche Paulucci: ogni tanto lo trovavamo qui nel pomeriggio;`..si faceva accompagnäre in carrozzella..:, L'Accademia, Albertina e quella di Napoli sono le, più grandi e belle d'Italia....". Anche per questo vorrebbe che i Torinesi ne fossero innamorati come i Milanesi lo sono di Brera. (Roberto Sacco, da Iride,To n.10 1999)

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